Da alcuni anni a questa parte il settore degli investimenti sostenibili è in decisa crescita. Eppure, allo stesso tempo, continua un agguerrito dibattito sul valore aggiunto di questo tipo di approccio, dibattito che vede confrontarsi due posizioni opposte: i sostenitori delle strategie di investimento ecosostenibili e responsabili affermano che queste producono una extra performance, i critici affermano il contrario.
Secondo numerosi studi accademici, i dati disponibili non sono sufficienti per decretare chi abbia ragione, ma possiamo comunque farci un’idea della situazione confrontando i rendimenti generati da diversi Etf socialmente responsabili e quelli dei corrispondenti indici di mercato.
Secondo i dati presentati nella Global Sustainable Investment Review, alla fine del 2014 circa 24,1 miliardi di dollari erano investiti in strategie con un obiettivo ecosostenibile e responsabile. L’Europa è in testa con un totale di 13 miliardi, seguita dagli Stati uniti, con 6,5 miliardi. Mentre gli investimenti ecosostenibili a livello mondiale comprendono sia investimenti quotati sia non quotati, i dati relativi all’Europa sono riferiti esclusivamente a veicoli di investimento collettivi, vale a dire a forme di investimento generalmente accessibili a una ampia gamma di clienti.
Per questo è chiaro che gli investimenti che tengono conto dei principi della sostenibilità stanno guadagnando popolarità anche al di fuori del campo dei puri fondi istituzionali. I tassi di crescita sono intorno al 25%, e dunque abbondantemente a due cifre.
L’approccio di investimento sostenibile e responsabile è cambiato considerevolmente nel corso del tempo. In particolare, mentre alcuni asset all’inizio erano tassativamente esclusi, oggi esistono diversi modelli di selezione multi-livello. Ma resta fondamentale un approccio che tiene specificamente conto delle imprese che brillano grazie sia alla loro sostenibilità, sia al profilo di responsabilità sociale e aziendale.
Il processo di selezione è condotto in base ai cosiddetti criteri “Esg – environment, social, governance” (ambiente, giustizia sociale e governo aziendale) che giocano un ruolo centrale nelle decisioni di investimento. Le società che non riescono a soddisfare i criteri etici, ambientali e sociali sono escluse. Chi critica questo approccio sottolinea che una selezione di questo tipo ha due svantaggi fondamentali. Prima di tutto una significativa limitazione dell’investimento e quindi una rinuncia a opportunità di diversificazione. In secondo luogo il processo di selezione Esg comporta tempo, e quindi comporta maggiori costi, destinati a pesare sui rendimenti.
È tutto vero? Non è detto. Oggi è possibile investire con un’ottica di sostenibilità e responsabilità con costi addizionali molto contenuti, in modo semplice e diretto grazie a strumenti come gli Etf. Gli Etf gestiti passivamente si differenziano dai tradizionali fondi sostenibili perché replicano un determinato. Questo corrisponde all’idea del “best-in-class” e fa sì che la diversificazione tra i settori non sia eccessivamente distorta. Si tratta dunque di una risposta alle critiche citate relative ai limiti sulla diversificazione degli investimenti Sri.
Anche grazie a questo approccio, le somme investite negli Etf Sri sono cresciute sensibilmente, e nel giro di pochi anni si sono attestate intorno a 1,2 miliardi di euro. Su http://www.investireinborsa.me/ potete trovare altri consigli ed informazioni sugli argomenti accennati in questo articolo. I dati sono ancora pochi e le critiche tante. Investire nella sostenibilità e nell’ambiente conviene? Lo sapremo solo col tempo.